La donna della bomba atomica by Gabriella Greison

La donna della bomba atomica by Gabriella Greison

autore:Gabriella Greison [Greison, Gabriella]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2024-01-18T12:00:00+00:00


7

In cui Leona passa dall’Argonne Forest al sito di Hanford per la produzione di plutonio, mentre in radio gli attori di Hollywood raccontano esperienze di guerra

Metà febbraio 1943 e non avevo ancora letto una pagina dei Quarantanove racconti di Hemingway. Non che non ne abbia avuto voglia, anzi. È soltanto che tutto accadeva così freneticamente che alla sera ero una cosa sola col cuscino.

Sotto la direzione di Walter Zinn la pila di grafite e uranio venne smontata e trasportata nella Foresta delle Argonne, insieme alla strumentazione e ai posti di comando. La bottiglia vuota di Chianti di Wigner venne messa in salvo, compresa l’etichetta che portava le nostre firme.

La pila CP-1 stava per diventare la pila CP-2, e avrebbe presto visto la luce alle Argonne, in un sito molto più grande e con molta più tecnologia. Feci io l’ordine per l’acquisto del cadmio utile a coprire la parte superiore del reattore. Quale altra ventenne ordina del cadmio con tanta naturalezza? Giuro che ancora oggi non saprei acquistare un reggiseno senza sbagliare la taglia o il colore, ma chiedetemi di procurarmi del cadmio e vi stupirò.

Lo scopo della costituzione di una squadra all’Argonne Forest era uno solo: alimentare il primo reattore di Hanford, in modo che producesse il plutonio per la bomba da allestire a Los Alamos.

Le guardie all’Argonne erano ben diverse da quelle che avevamo a Chicago: molti di questi uomini erano sdentati e con problemi alla vista; malgrado questo controllavano ogni nostro movimento. Una volta vedemmo degli uomini poco raccomandabili scavalcare il recinto. Herb gridò alle guardie: «Sparategli, sparategli», ma le guardie non solo non avevano denti, non avevano nemmeno le pistole, e quando si girarono verso gli stranieri non li videro neanche. Per fortuna erano scappati via da soli. Se la nostra sicurezza avrebbe dovuto dipendere da quelle quattro talpe gengivose, saremmo morti tutti alle Argonne.

Avevamo a disposizione una bottiglia di acqua potabile al giorno. L’idea sembrava corretta e l’acqua aveva un ottimo sapore, ma un giorno il Billings Hospital dell’Università di Chicago pensò di testarla, e quello che ci trovarono dentro era ben poco elettrizzante: una ricca varietà di batteri coliformi, ovvero batteri usciti dai canali di scarico dei gabinetti. In breve tempo, tutti fummo alle prese con diverse malattie: tifo, febbre, dolori alle braccia; la prima settimana fu totalmente improduttiva. È proprio vero che le cose che hanno un buon sapore, spesso fanno male. Lo diceva sempre mia madre, ma si riferiva all’eccesso di cioccolato, non all’acqua.

I medici erano sempre presenti sul campo. Ci monitoravano soprattutto per i possibili effetti delle radiazioni. Esaminavano regolarmente le retine degli occhi e le unghie alla ricerca di danni. All’inizio ci facevano sottoporre a radiografie del torace ogni mese, ma gli facemmo notare che la cosa ci esponeva a più radiazioni di quante ne ricevessimo dalla pila. Quando glielo dicemmo, prima si indispettirono, dicendo che i medici erano loro. Poi, riflettendoci, capirono che i fisici eravamo noi, e di radiazioni ce ne intendevamo.

L’ultima a fare una radiografia fui proprio io.



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